LA NUOVA CAMPAGNA OLIVICOLA È GIÀ INIZIATA
Quella trascorsa è alle nostre spalle o quasi. Infatti, in Campania, vi sono realtà produttive ad olivicoltura complessa, tradizionale e difficile, tutt’altro che marginali, che segnano il territorio più che per la qualità dell’olio prodotto per l’unicità e la bellezza del paesaggio mediterraneo. In quelle realtà la raccolta, fatta per caduta naturale su reti permanenti, può protrarsi sino a marzo, ma non è di questa olivicoltura che vogliamo parlare.
Quella olivicoltura, storica ed eroica, merita un discorso “dedicato” per le implicazioni socio-culturali e tecnico-strutturali che l’hanno originata e conservata nel tempo. Un discorso, questo, che coinvolge necessariamente più competenze e più “saperi”, non riducibile ad una discussione tra addetti ai lavori con preparazione solo strettamente tecnica.
La qualità dell’olio è il risultato di una serie di fattori concomitanti e non scindibili. Ogni passaggio della filiera produttiva influisce, nel bene e nel male, sulla qualità del prodotto finale. Tutti i passaggi vanno condotti nel miglior modo per portare, in bottiglia, una piccola percentuale di ciò che madre natura inserisce nel frutto dell’olivo.
Ogni annata agraria è caratterizzata dall’andamento climatico stagionale che, in buona parte, è responsabile delle caratteristiche degli oli prodotti. Gli olivicoltori, nel corso dell’annata produttiva, sono chiamati a gestire il loro oliveto applicando corrette tecniche di gestione finalizzate ad ottenere le migliori olive da molire.
Ogni olivicoltore, sia esso a tempo pieno, che coltiva oliveti dai quali trae il proprio sostentamento, o part-time, che lo fa per integrare il proprio reddito o l’autoconsumo o più semplicemente per passione del bello e del buono, ha già in testa quello che deve fare, in oliveto, nel 2021.
In ogni mese dell’anno c’è qualcosa da fare o semplicemente da osservare. Sì, anche semplicemente andare in oliveto ad osservare per verificare di cosa le piante siano bisognevoli, quali operazioni colturali fare per ottenere frutti di qualità da raccogliere e portare in frantoio per ottenere, in cambio, il miglior olio possibile.
PER OTTENERE UN OLIO DI QUALITÀ È NECESSARIO PARTIRE CON IL PIEDE GIUSTO
Certo non sempre ad ottime olive, sane, ben nutrite, raccolte al giusto grado di maturazione corrisponde un olio di qualità rispondente alla tipologia varietale di appartenenza. Ma questa è tutta un’altra storia che non mancheremo di raccontare o far raccontare in un’altra occasione e contesto.
Siamo a febbraio ed in oliveto, pioggia permettendo, non si va solo per godere della bellezza che le piante ci trasmettono con le loro pennellate di verde che tinteggiano l’ambiente circostante né per ripararci dalla calura che non c’è.
Andiamo in oliveto con l’obiettivo di programmare le operazioni colturali necessarie in questo fine inverno e prossima primavera. C’è chi ha avviato le operazioni di potatura e le sta già completando, e chi si sta attrezzando per avviarla facendo l’inventario degli attrezzi necessari. Fa una stima del tempo necessario da dedicare a questa operazione, decide se la potatura può farla in proprio o deve affidarsi all’opera di mani esperte che fanno questo di mestiere. I bravi potatori sono ormai diventati merce rara di cui il mercato del lavoro scarseggia da anni. Chi ha la possibilità di conoscere questi professionisti fa bene ad assoldarli per tempo, senza badare a spese, se tiene al buon governo del proprio oliveto.
I tempi, le modalità d’intervento, le tecniche da utilizzare non sono univoche ma variano in funzione dell’ambiente geografico ove si opera, dalla forma di allevamento delle piante, dall’età dell’impianto, dalla vigoria delle stesse e non ultimo dalle nostre capacità. Con riferimento a quest’ultimo punto più che di capacità nell’eseguire la potatura è necessario essere in una buona condizione fisica e psicologica ad eseguire un’operazione faticosa e per certi aspetti pericolosa, se non fatta con le dovute precauzioni. Occhio, dunque, le operazioni da eseguire si apprendono abbastanza facilmente, ma potare richiede manualità, capacità e salute. Fattori che non sempre abbondano nella composita popolazione di olivicoltori, per classe sociale e fascia di età, che possono essere causa di incidenti, nonostante la dovuta prudenza. Ciò premesso veniamo al dunque.
Gli oliveti giovani sono bisognevoli sino al terzo anno o più della potatura che in gergo tecnico viene definita di allevamento. E’ quella operazione che fanno o dovrebbero fare i genitori nei confronti dei loro figli sino alla adolescenza. L’olivicoltore, in questa fase, deve allevare il giovane oliveto ad assumere la forma e l’educazione alla propria vita vegetativa con la quale dovrà convivere per il resto della propria esistenza o quasi, visto che i ripensamenti, in questo settore, anche se non frequenti, sono sempre possibili.
Nei primi anni, l’olivicoltore, decisa la forma che vuole dare al proprio oliveto opera di conseguenza per assecondare la piante a prendere il portamento scelto per essa.
La forma da dare alle nostre piantine non è una cosa che va fatta a cuor leggero ma è il risultato di innumerevoli fattori; elencarli tutti sarebbe doveroso ma richiederebbe tempo e spazio e potrebbe risultare noioso ai più. Ne elencherò solo alcune.
BUONE PRATICHE DI ALLEVAMENTO
Se il nuovo impianto occupa una superficie abbastanza estesa la forma da scegliere deve consentire di velocizzare le operazioni più gravose, onerose e faticose. Si deve puntare alla
meccanizzazione integrale o quasi della raccolta e della potatura, nonché di tutte le altre operazioni colturali necessarie al buon governo dell’oliveto, per tutta la sua vita produttiva. In questo caso, se il sesto d’impianto è stretto, l’orografia del terreno è poco accidentata e la varietà scelta ha portamento eretto con sviluppo lento si opterà per forme strette ed assurgenti tipo il monocono con tagli limitati a creare una spirale di rami che, partendo da poco più di mezzo metro da terra, avvolgono il tronco dell’intera pianta (Fig. 1).
Se il sesto d’impianto non è inferiore a 5 x 5 mt, le piante sono vigorose, a portamento pendulo o assurgente la scelta migliore è il vaso policonico. In questo caso alleveremo la pianta, con tronco privo di rami, sino ad un’altezza da terra di 80 – 100 cm dove lasceremo vegetare distanziate, di 120°, tre branche che costituiranno lo scheletro, l’impalcatura dei tre coni che andremo ad allevare responsabili della struttura produttiva dell’olivo. (Fig. 2, 3, 4 e 5).
Se l’oliveto che ci accingiamo ad allevare è formato da un numero limitato di piante, la cui produzione serve per estrarre olio destinato al fabbisogno familiare e a qualche occasionale cliente o familiare allora la scelta è più semplice e senza troppi giri dubbiosi punteremo dritto alla potatura classica per eccellenza: il vaso policonico. Forma che si presta molto bene sia sul piano produttivo che funzionale e ambientale.
E’ però molto probabile che la maggioranza degli olivicoltori sarà alle prese con oliveti in fase produttiva, dove forma e struttura sono già state definite e non è il caso di farsi prendere da tardivi ripensamenti sulla opportunità di modificarla.
In questo caso gli oliveti sono bisognevoli di una potatura che definiremo di produzione e interverremo sulle branche permanenti (primarie) con tagli che salvaguardano le branchette secondarie e terziarie portanti la vegetazione produttiva posta non molto distante dal punto di inserzione sul ramo principale, ben distribuita su tutta la lunghezza della branca, ben esposta alla luce e senza sovrapposizione tra le branchette che produrranno quest’anno. Elimineremo tutti i rami volti verso l’interno della chioma e quelli inseriti verticalmente sulla parte superiore del ramo principale (succhioni) ma saremo molto attenti a salvaguardare tutti
i rami di sostituzione. Parliamo di quei rami che portano gemme piccole e lanceolate, che non fruttificheranno quest’anno ma entreranno in produzione l’anno prossimo. Se la branca è moltosviluppata in lunghezza, con conseguente allontanamento della vegetazione produttiva dal tronco principale, bisogna limitarla nell’ulteriore allungamento, che renderebbe poco produttive, agevoli, faticose, costose e pericolose le operazioni di raccolta, con un taglio che chiameremo di ritorno. Taglio teso a riportare la branca principale entro dimensioni gestibili sul piano tecnico-produttivo evitando la formazione di fronde produttive poste solo nella parte estrema della pianta. Questa operazione di potatura si deve fare periodicamente ed è tanto più frequente quanto maggiore è il vigore delle piante e maggiore è la fertilità del terreno. In previsione di tale operazione, il potatore attento deve programmarla per tempo avendo cura di lasciare un succhione posto lungo la branca, inserito ben al di sotto dell’apice e con orientamento piuttosto parallelo al tratto di ramo da sostituire. Bisogna, quando potiamo, rispettare il naturale percorso ascendente e discendente della linfa che non facendo percorsi tortuosi, con conseguenti rallentamenti e sosta nei punti di strozzatura, evita una iperalimentazione e conseguente risveglio delle gemme “dormienti” che genereranno una esplosione di germogli (succhioni e polloni) sulla pianta ed al piede di essa. Se nel vostro oliveto siete afflitti da questa manifestazione di esuberanza vegetativa la colpa è in larga misura vostra. Avete costruito delle branche (di diverso ordine e grado) tortuose, simili alle strade del Cilento e del Fortore, e nelle curvature si verifica una proliferazione di germogli generati da interventi cesori errati. Questo per dire che i “colli d’oca”, così detti in gergo tecnico, non fanno bene né alla salute della pianta, che spende energie per produrli, né al tempo e al bilancio dell’olivicoltore che, in estate, deve intervenire per eliminarli, con una spesa aggiuntiva ai già alti costi di produzione del litro d’olio. Nel dire ciò ci
siamo deliberatamente dimenticati di dire la forma di allevamento cui ci riferiamo. Qualunque sia la forma di allevamento cui ci riferiamo i principi ispiratori che devono guidarci sono pochi ma fondamentali. Equilibrio della pianta tra parte vegetativa e produttiva (legno e frutto), esporre la vegetazione alla luce diretta per aumentare qualità e quantità dei frutti raccolti, potare oggi con occhi rivolti al domani, (alcune varietà tendono ad alternare più di altre, questa tendenza possiamo assecondarla, con tagli sbagliati, contenerla con potature equilibrate), evitare la sovrapposizione delle branche fruttifere, eliminare la vegetazione che ombreggia la parte interna della pianta creando un microclima favorevole allo sviluppo di funghi e parassiti animali, limitare i tagli al giusto necessario senza spogliare le piante della vegetazione produttiva, contenere volume e altezza delle piante in funzione del cantiere di lavoro che riusciamo ad allestire nel periodo della raccolta avendo bene in mente che le olive raccolte nella giornata devono essere sufficienti per avviarle in serata al frantoio e non devono vedere la luce del mattino successivo.
Le forme di allevamento più diffuse in regione sono per lo più a vaso policonico, a branche plurime, impalcato alto o forme ad esso assimilabile. Nella aree ad olivicoltura storica, le più estese e diffuse in tutte le province campane, dalla fascia costiere sino all’appennino interno, le forme di allevamento possono definirsi libere o in taluni casi a globo, più per scarsi interventi che per scelta produttiva. Larga parte di questa olivicoltura contribuisce poco alla produzione di oli di qualità ma è l’anima nobile della bellezza paesaggistica che dà valore a molte aree di grande interesse storico, naturalistico e turistico della Campania.
E PER CHI DEVE RECUPERARE I VECCHI OLIVETI?
Un discorso a parte meritano gli interventi di recupero di vecchi oliveti abbandonati che hanno subito un degrado vegetativo e sanitario. Molti di essi sono la testimonianza vivente di territori un tempo utilizzati per il sostentamento delle popolazioni locali e che hanno svolto un ruolo importante per la conservazione di quei luoghi. Per questi oliveti bisognerebbe prevedere interventi di conservazione, tutela e manutenzione del paesaggio con interventi a carico della collettività che ne risulta il diretto fruitore. Non tutti questi oliveti devono essere lasciati al semplice ruolo di testimonianza storica di una olivicoltura eroica, molti possono essere recuperati ad un ruolo produttivo intervenendo drasticamente con tagli sulle grosse branche finalizzate al parziale o totale rinnovamento della vegetazione
produttiva nell’arco di due –tre anni. Esempi pregevoli di recupero produttivo di vecchi oliveti abbandonati sono diffusi in molte realtà olivicole regionali a dimostrazione che un ritorno al passato talvolta può dare una marcia in più alla valorizzazione degli autentici oli tipici regionali. (Fig. 6 e 7). Poter dimostrare, attraverso la tracciabilità, che trattasi di oli prodotti da oliveti storici, legati ad un determinato territorio e provenienti da varietà autenticamente autoctone può, se adeguatamente divulgato, intercettare una fascia di consumatori interessati all’autenticità di quel che consumano e disponibili a spendere quel di più che consente profitto necessario per la continuazione della coltivazione oliveti collocati in areali difficili e problematici.
In tutte le province, qualche decennio fa, è stato tentato un nuovo approccio alla coltivazione dell’olivo proponendo e diffondendo una olivicoltura intensiva con sesto stretto sulla fila e forme di allevamento a monocono. Quell’esperienza è andata avanti per un periodo piuttosto breve con impianti di oliveti dimostrativi e alcuni investimenti di privati volenterosi con risultati apprezzabili. Peraltro, questa è stata l’unica ventata di novità che ha interessato il settore dopo tantissimi anni di stallo nelle innovazioni colturali. Questa tecnica colturale ha avuto scarso seguito per una serie di ragioni di ordine agronomico e culturale, molti di quegli impianti sono stati abbandonati o riconvertiti nei sesti e nelle forme. L’azione nobile, nell’ispirazione di fondo, si è scontrata con una realtà non matura a investire in innovazioni, forse pensate più per una olivicoltura industriale, su ampie superficie, che andava coadiuvata da un permanente servizio di assistenza tecnica su cui, in primis, doveva investire l’azienda olivicola.
Negli ultimi anni sono stati impiantati oliveti con sesti molto stretti (1,5 x 3,5 mt, circa 2.000 piante/ha) detti super intensivi, ancora sono sotto osservazione non avendo dati sufficienti per esprimere un giudizio sulla loro validità e convenienza. Trattasi di un’olivicoltura, pensata in Spagna per grandi aziende che investono superficie molto estese, interamente meccanizzata, con volumi produttivi attesi, dal quinto anno in poi, di oltre 100ql di olive/ha. E’ un modello olivicolo con costi d’impianto elevati e tecniche di gestione accurate, dispendiose e poco ecocompatibili come irrigazione,
concimazione, diserbo, difesa fitosanitaria nonché tecniche di gestione e conduzione corrette e puntuali. Le varietà utilizzate sono selezioni spagnole e italiane a portamento compatto e contenuto che si prestano alla raccolta meccanica con macchine scavalcatrici semoventi o trainate. Recentemente, in prov. di Benevento, sono stati impiantati alcune decine di ettari ad oliveti super intensivi i cui risultati sono ancora tutti da verificare e sui quali il giudizio è sospeso per i prossimi due o tre anni. (Fig. 8).
Si va diffondendo in Campania un sistema di potatura preso in prestito da altre regioni che sottopone l’olivo ad inutile tortura con troncature delle grosse branche ad un’altezza prossima all’inserzione delle stesse sul tronco. Lo scopo è di esporre la vegetazione produttiva all’esterno, ben esposta alla luce del sole e ad un’altezza che consente la raccolta, manuale o con agevolatori, in modo agevole, rapido e produttivo. A questi vantaggi si contrappongono una serie di svantaggi che incidono negativamente sul naturale sviluppo e crescita della pianta. L’olivo, nella maggior parte delle varietà, ha portamento assurgente. Naturalmente lo sviluppo ha un andamento dal basso verso l’alto che è bene non contrastare con tagli che mirano ad interromperne l’allungamento. (Fig. 9). Per contenere lo sviluppo in altezza delle piante si ricorre ai tagli di ritorno, cui si è fatto cenno, che non creano squilibri vegetativi, causa di eccessiva emissione di polloni e succhioni e concausa di alternanza produttiva. L’argomento che abbiamo cercato di tratteggiare è vario e vasto e richiederebbe più spazio e approfondimento. Non abbiamo l’ardire di credere che abbiamo svolto pienamente il nostro compito ma abbiamo l’ambizione di aprire una discussione su un argomento importante per avere produzioni di qualità, con quantità costanti nel tempo.
Testi e foto a cura di ALMA
Scrivi un commento